sabato 18 settembre 2010

Splice

Non sono la più grande fan di Adrian Brody ma devo dare a Cesare quel che è di Cesare, quando sullo schermo c’è lui sono pervasa da un improvviso, irreversibile senso di attrazione e di pace. Ogni volta mi chiedo come ci riesca. Non fa eccezione questa pellicola, in cui interpreta uno scienziato dal gilet di Willy Wonka a cui piace ascoltare musica rock ed in larga misura fare sesso.

Insieme alla sua compagna è a capo di un progetto di splicing, ovvero gioca a tetris con il DNA di diverse specie animali. Quando la loro ricerca comincia a farsi concreta e la società per cui lavorano ha bisogno di spingere sull’acceleratore per ottenere finanziamenti, Brody e la sua bella (Sarah Polley), in gran segreto, aggiungono alla loro mistura un codice genetico tutto speciale: quello umano. E così sorpresa sorpresa nasce Dren, che all’inizio rassomiglia ad una coscia di Chianina e via via invecchia con una rapidità esponenziale, diventando infine un incrocio fra una bella topa ed una gallina gigante, realizzata comunque con effetti digitali lodevoli, efficaci ma discreti. Dren è un ragazza un tantino irascibile, ha la forza muscolare di Hulk ed una coda dotata di artiglio degna del re scorpione. Attraversando velocemente tutte le fasi della vita, dall’infanzia alla maturità, passando per l’adolescenza, Dren sviluppa un rapporto complesso e sfaccettato con i suoi “genitori”, che ricambiano naturalmente con delle attenzioni altrettanto peculiari,vista la natura non proprio consueta della loro figlioccia.

Un thriller dunque, ma anche una delicata storia di coppia. Siamo davanti ad uno stufato a base di Frankenstain steso su un letto di Rosemary’s baby, farcito con una buona regia ed un pizzico di originalità (che non guasta!).

I temi della gravidanza e del saper essere genitori sono sottilmente inseriti qua e là lungo il nostro viaggio. Elsa (Polley) scottata da un’infanzia difficile riversa sul suo mostriciattolo tutte quelle cure ossessive che non ha mai ricevuto. Clive (Brody) chiuso nelle sue preoccupazioni di carattere etico vive e lascia vivere, con un atteggiamento molto pragmatico che porterà la coppia a scontrarsi. Nessuno dei due ha una connotazione nettamente positiva, ed è questa la caratteristica che maggiormente li rende autentici e dona al film quel tocco di sincerità che porta una necessaria ventata di freschezza al panorama del thriller contemporaneo. Riusciamo infatti a fare il tifo per loro e contemporaneamente a detestarli, toccando delle punte di disgustata incredulità per il loro orribile sfacciato oltrepassare alcuni capisaldi di moralità.

Delphine Chaneac lavora come un’attrice del muto, in un gioco di sguardi e piccoli tic del corpo che riescono nel difficile compito di creare una connessione emotiva fra il pubblico ed il suo inusuale personaggio senza risultare ridicola o smielata.

La mano del regista è sicura e fluida e si muove senza pause né monotonia in quegli ambienti dalla luce malata, come laboratori e stalle abbandonate, in cui si svolge la storia.

Quello che per larga parte è un ottimo prodotto, sebbene dichiaratamente di genere realizzato con intelligenza e sapientemente mantenuto oltre il livello della banalità, subisce purtroppo nella sua ultima parte un cambiamento di rotta verso atmosfere più tradizionali. Si passa da un brillante thriller cerebrale ad un più tipico horror “corri più che puoi” (con shoccante risvolto erotico) dall’elevato fattore di prevedibilità che stride, anche se non disturba.

Splice non ha paura né di abbracciare picchi di sentimentalismo verso la creatura protagonista né di portare i suoi personaggi e spettatori in territori terribilmente inquietanti. Contrariamente alla maggior parte dei film horror statunitensi dal budget sostenuto, siamo davanti ad un raro esempio di come si può fare bene.

(Cristina Fanti)

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2 commenti:

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