sabato 18 settembre 2010

Mordimi - Vampires Suck

Mi trovo in difficoltà. Scrivere una recensione di Mordimi è un po’ come esprimere un parere gastronomico sull’enterogermina. Non sa di niente.

Il film dovrebbe essere una parodia sul genere dei vari Scary Movie, Epic Movie, Hot Movie, Disaster Movie e tutti quei "Qualcosa Movie" che vi vengono in mente. Infatti, per coincidenza, è scritto e diretto dagli stessi geniacci. Alla loro migliore prova per quanto mi riguarda, non perché il risultato sia buono, ma perché perlomeno è solo incredibilmente noioso invece che insopportabilmente irritante. Questa volta, per portare una ventata di freschezza, centrano il loro mirino su una saga in particolare, invece che su una categoria narrativa in senso lato.

E così rubano la trama di Twilight e producono una copia più economica e più insulsa dei tre film della saga centrifugati in 82 minuti. Possiamo anche dirlo, già i film originali non erano un granché. Non c’era veramente nessun bisogno di farne un sunto. Stephanie Mayer dovrebbe probabilmente fare causa.

E’ imbarazzante vedere una commedia languire nel silenzio per un’ora e mezza, con battute lanciate in una platea che è un vuoto cosmico. In fondo mi dispiace che Twilight non sia riuscito ad ottenere una parodia migliore. Molte delle frecciate del film consistono nel menzionare una serie di reality show, quando non sono completamente devote a sottolineare la loro rilevanza rispetto all’universo a cui si ispirano, come se gli “autori” non capissero che per il pubblico questo concetto sia già assodato. Ad eccezione forse di chi è andato in bagno ed è poi rientrato per errore nella sala sbagliata. Un continuo rimarcare e spiegare, rompendo la quarta parete. Esempio: Jacob perché sei sempre senza maglietta? – E’ scritto nel contratto – Jacob mostra il contratto, sguardo in macchina. Inesorabile gelo.

Ho contato tre risate. Quando nella caffetteria accanto ai Sullen (i nostri Cullen) appaiono i tipi di Jersey Shore tutti oliati e in posa. Quando Becca (si, i giochi sui nomi sono la parte peggiore) dice di aver capito cosa sia Edward in realtà, ben vestito, bianco cadaverico e sessualmente astinente, è un Jonas brother. Quando Edward dice a Becca che anche solo l’odore del suo fiato è il Paradiso e lei gli pianta una flautolenza in faccia fancendolo volare giù dalla finestra, come il miglior Fantozzi. Preso il pubblico per sfinimento alla fine sulla puzzetta si rilassa e si fa due ghigni.

Devo ammettere che le scenografie e i costumi sono calzanti e Jenn Proske fa un’ottima imitazione di Kristen Stewart che parla guardando per terra, sbatte le ciglia e si morde le labbra. Se solo le avessero dato qualcosa di divertente con cui destreggiarsi.

L’impressione generale è che i timonieri di questa iniziativa fossero troppo sfaticati per qualsiasi cosa che non fosse una copia scena per scena dell’originale, quando focalizzandosi di più su un’effettiva satira dell’universo di Twilight avrebbero ottenuto, con un po’ di sagacia, forse, qualcosa di davvero divertente.

Credo abbiano cercato di prendere in giro Twilight senza far arrabbiare i fan e con questo intendo che hanno semplicemente mostrato loro, di nuovo, i film che avevano già gradito.

(Cristina Fanti)

CHE NE PENSI DI QUESTO FILM?


CHE NE PENSI DI QUESTA RECENSIONE?

Splice

Non sono la più grande fan di Adrian Brody ma devo dare a Cesare quel che è di Cesare, quando sullo schermo c’è lui sono pervasa da un improvviso, irreversibile senso di attrazione e di pace. Ogni volta mi chiedo come ci riesca. Non fa eccezione questa pellicola, in cui interpreta uno scienziato dal gilet di Willy Wonka a cui piace ascoltare musica rock ed in larga misura fare sesso.

Insieme alla sua compagna è a capo di un progetto di splicing, ovvero gioca a tetris con il DNA di diverse specie animali. Quando la loro ricerca comincia a farsi concreta e la società per cui lavorano ha bisogno di spingere sull’acceleratore per ottenere finanziamenti, Brody e la sua bella (Sarah Polley), in gran segreto, aggiungono alla loro mistura un codice genetico tutto speciale: quello umano. E così sorpresa sorpresa nasce Dren, che all’inizio rassomiglia ad una coscia di Chianina e via via invecchia con una rapidità esponenziale, diventando infine un incrocio fra una bella topa ed una gallina gigante, realizzata comunque con effetti digitali lodevoli, efficaci ma discreti. Dren è un ragazza un tantino irascibile, ha la forza muscolare di Hulk ed una coda dotata di artiglio degna del re scorpione. Attraversando velocemente tutte le fasi della vita, dall’infanzia alla maturità, passando per l’adolescenza, Dren sviluppa un rapporto complesso e sfaccettato con i suoi “genitori”, che ricambiano naturalmente con delle attenzioni altrettanto peculiari,vista la natura non proprio consueta della loro figlioccia.

Un thriller dunque, ma anche una delicata storia di coppia. Siamo davanti ad uno stufato a base di Frankenstain steso su un letto di Rosemary’s baby, farcito con una buona regia ed un pizzico di originalità (che non guasta!).

I temi della gravidanza e del saper essere genitori sono sottilmente inseriti qua e là lungo il nostro viaggio. Elsa (Polley) scottata da un’infanzia difficile riversa sul suo mostriciattolo tutte quelle cure ossessive che non ha mai ricevuto. Clive (Brody) chiuso nelle sue preoccupazioni di carattere etico vive e lascia vivere, con un atteggiamento molto pragmatico che porterà la coppia a scontrarsi. Nessuno dei due ha una connotazione nettamente positiva, ed è questa la caratteristica che maggiormente li rende autentici e dona al film quel tocco di sincerità che porta una necessaria ventata di freschezza al panorama del thriller contemporaneo. Riusciamo infatti a fare il tifo per loro e contemporaneamente a detestarli, toccando delle punte di disgustata incredulità per il loro orribile sfacciato oltrepassare alcuni capisaldi di moralità.

Delphine Chaneac lavora come un’attrice del muto, in un gioco di sguardi e piccoli tic del corpo che riescono nel difficile compito di creare una connessione emotiva fra il pubblico ed il suo inusuale personaggio senza risultare ridicola o smielata.

La mano del regista è sicura e fluida e si muove senza pause né monotonia in quegli ambienti dalla luce malata, come laboratori e stalle abbandonate, in cui si svolge la storia.

Quello che per larga parte è un ottimo prodotto, sebbene dichiaratamente di genere realizzato con intelligenza e sapientemente mantenuto oltre il livello della banalità, subisce purtroppo nella sua ultima parte un cambiamento di rotta verso atmosfere più tradizionali. Si passa da un brillante thriller cerebrale ad un più tipico horror “corri più che puoi” (con shoccante risvolto erotico) dall’elevato fattore di prevedibilità che stride, anche se non disturba.

Splice non ha paura né di abbracciare picchi di sentimentalismo verso la creatura protagonista né di portare i suoi personaggi e spettatori in territori terribilmente inquietanti. Contrariamente alla maggior parte dei film horror statunitensi dal budget sostenuto, siamo davanti ad un raro esempio di come si può fare bene.

(Cristina Fanti)

CHE NE PENSI DI QUESTO FILM?

Butterfly Zone

La premessa di questo film è a tratti interessante.
Un’astronave emana un raggio luminoso sottolineato dall’audio di una lingua aliena. Nei sottotitoli a corredo si legge che l’ET in questione ha commesso un grossolano errore e viene sgridato da quello che è presumibilmente il suo capo. Ci sembra di assistere ad un battibecco tipico di quei mostriciattoli verdi delle puntate di Halloween dei Simpson, alieni guasconi e casinari all’Americana.
Si ha questa idea dall’incipit della storia: uno sci-fi movie dalle tinte ironiche. Un tentativo di traduzione all’amatriciana di film come Independence day o Mars attacks. I miei occhi sbrilluccicano e l’attenzione si desta. Magari fosse così. Naturalmente, ne ho la conferma poco dopo, c’è un motivo se i film di fantascienza si fanno negli Stati Uniti e non in Italia.

L’assunto è folle. Il raggio alieno della prima scena che ha colpito la vigna di Francesco Salvi ha trasformato i suoi chicchi d’uva in passaporti per l’aldilà e così un sorso del vino che ne deriva permette di viaggiare a cavallo delle coscienze, in una dimensione ultraterrena che però mi sembra non abbia molto da dire. Il tutto si trasforma in thriller quando accidentalmente, attraverso questo ponte interdimensionale aperto dal vino, torna sulla terra un sadico assassino guidato da un qualche istinto mistico a la Codice da Vinci, che però sfortunatamente non fa paura a nessuno ed è credibile quanto il Puffo Burlone.

Il regista stesso, per darsi un tono cinefilo, dice di amare la commistione e di aver infatti su di essa puntato tutto. Forse però non ha controllato che sul dizionario alla voce “commistione” non c’è scritto: accozzaglia informe di elementi di genere. Comicità da bar dello sport, presenze surreali - come una banda musicale immobile in un campo di grano (per nessun motivo apparente), citazioni a caso tanto per gradire - come Barbara Bouchet vestita da Salvador Dalì, e via discorrendo.

Nel sottobosco della trama un vecchio uomo d’affari cerca di appropriarsi del vino in questione per poter così controllare le nascite e le morti. E’ un concetto che non ho avuto neppure voglia di analizzare, ma nella sua rappresentazione, nella sua recitazione forzata, mi ha ricordato il piano malefico di un nemico molto poco riuscito della serie televisiva Streghe.

Gli attori sono spesso innaturali, anche se il regista ostenta un gioco alla libertà di espressione che avrebbe dovuto facilitare gli interpreti nel raggiungimento della naturalezza espressiva. Alessandra Rambaldi ne esce particolarmente sconfitta.

La stessa scelta dei nomi dei protagonisti la dice lunga sulla predisposizione dello sceneggiatore/regista/curatore della colonna sonora, fin troppo strambi e ricercati, come se ci volesse far ridere ad ogni costo, come se in ogni minimo particolare sentisse la necessità di sottolineare la sua peculiarità artistica e il suo coraggio nell’aver realizzato un film così “colorato” – traduci: “pretenzioso”.

All’uscita dalla proiezione ci regalano una bottiglia di vino, forse per aiutarci a dimenticare.

(Cristina Fanti)

CHE NE PENSI DI QUESTO FILM?

Una notte blu cobalto

La prima sensazione che questo film mi ha trasmesso è stata una pacata, apatica angoscia. Non so se fosse per la spocchia da adolescente forzatamente anticonformista di Regina Orioli, fissa, immobile nella sua rara antipatia, o quella sciarpetta da intellettuale fallito perennemente avvolta al collo di Corrado Fortuna. Una delle due cose comunque, probabilmente volute, mi ha sussurrato appena entrata in sala che questi personaggi fossero imprigionati in una dimensione di vuoto cosmico.

Lui, Dino, è stato lasciato da lei, Valeria, e non se ne riesce a fare una ragione. Per questo gironzola per Catania senza uno scopo nel cuore della notte finché un magico impulso non lo spinge a proporsi come garzone per una pizzeria, la Blu Cobalto. In questo luogo un po’ fuori dal mondo il proprietario, che sembra più che altro un sofisticato addestratore di marines che cita Sunzi a spron battuto, gli imporrà una serie di strambe consegne.
Fra un’inquadratura di un monumento e l’altra, i clienti in cui si imbatterà il nostro protagonista insieme alla sua inseparabile pashmina tolgono l’aria a chi guarda. Solitudine, pazzia, morte, vecchiaia, infanzia abbandonata, questo il terreno minato degli aficionados della pizza blu cobalto. Nelle loro brevi apparizioni non lasciano nulla allo spettatore (a parte, di nuovo, una lieve angoscia), sono entità quasi fantasmatiche, a dire il vero un po’ troppo fini a se stessi, macchiette, per così dire.

Che si tratti di una specie di onirico viaggio di formazione si capisce alla seconda consegna, davvero troppo surreale per suggerire qualsiasi altra ipotesi, e alla quarta, quinta e sesta nulla viene aggiunto. La storia semplicemente continua a ripetersi. Fino al finale risolutivo, che chiama in causa polveri magiche, scatole luminose e lucciole danzanti.
Una sorta di sapore fantasy che però non riesce a rendere gustosa la trama, che giace tutto sommato senza senso. Scontato il messaggio di redenzione per cui Fortuna e la sciarpetta radical chic superano quel senso d’inadeguatezza lasciato loro dal broncio con cui la Orioli si veste dal 1997.

Davvero le nostre nuove leve cinematografiche vogliono accontentarsi di questa pochezza a livello di contenuto? Ciò stupisce soprattutto perché al contrario il film merita molto a livello formale, ricco di inquadrature interessanti, piani sequenza elaborati che integrano diversi piani temporali, la tecnica è padroneggiata molto bene, perfino in un’improbabile scena d’amore seguita con molto gusto e gentilezza.
Gangemi è alla sua opera prima ed è riuscito a far produrre e distribuire un film realizzato con 500.000 euro senza aiuti statali. Per di più non si tratta di una storia di polizia, carabinieri, mafia o immigrazione nel più classico stile italiano. Per questo, anche se dalla sceneggiatura si poteva spremere di più, il film merita di essere supportato.

(Cristina Fanti)

CHE NE PENSI DI QUESTO FILM?

venerdì 17 settembre 2010

Un canzone per te

Lasciatemi confessare che sono un’appassionata di commedie americane, e negli anni ho masticato abbastanza film liceali da avere il palato fine.

Alla conferenza stampa di Una canzone per te si mettono subito le mani avanti: “è una commistione di generi” dice il regista, alla sua opera prima. Un eufemismo, che tradotto ci dice che ci troviamo davanti ad una grande accozzaglia.
Si fanno nomi importanti: John Hughes (il genio che negli anni 80 ha reinventato il teen movie), Ritorno al futuro, Slining doors. Come riferimento musicale gli Zero Assoluto (presenti in conferenza perché autori di una delle canzoni della pellicola) nominano Juno. Che coraggio.

Questa la trama: un ragazzo scapestrato ma molto “figo”, fidanzato con la più bella della scuola, rischia di perdere l’anno scolastico perché dedica più tempo alla musica che allo studio. Il giorno del compito d’italiano una serie di cose gli vanno storte, tanto da lasciarlo senza band e senza dolce metà. Grazie ad una specie di guru telematico avrà una seconda chance di rivivere quella brutta giornata e possibilmente farla andare meglio, o peggio… Il tutto lo porterà a scoprire nuove amicizie e profondità del suo stesso animo.

Ho parlato di accozzaglia perché il sapore fantastico con cui si comincia viene ben presto accantonato e totalmente dimenticato. Eppure era proprio questa la parte più innovativa della pellicola, che apriva il genere adolescenziale italiano a nuovi stilemi mai tentati prima. Il tutto scivola invece verso il più classico topos dell’amore al tempo degli esami di maturità, che avendo un predecessore di alto rango come Notte prima degli esami affronta uno scontro impari.

Si è detto che si voleva arrivare ad un prodotto che miscelasse il meglio della tradizione americana ed italiana. Ecco, il secchione di turno, Guglielmo Scilla (popolare Youtuber che è stato scelto proprio grazie alla sua notorietà mediatica, cosa già di per se molto a stelle e strisce), è un personaggio che sembra arrivare dritto da Los Angeles, con le sue gag, smorfie e magliettine improponibili. Tra l’altro somiglia a Jack Black. D’altra parte il padre del protagonista, Sergio Albelli, è il prototipo del romano che tanti comici negli anni hanno contribuito a realizzare. E funzionano, entrambi.

Purtroppo nel mezzo c’è tanta mediocrità. Michela Quattrociocche è la ragazza perfetta, una sorta di Cher di Clueless dopo una lobotomia. Andrea Montovoli è il rocker borchiato che fa tremare tutti, mi ricorda il Patrick Verona di 10 cose che odio di te, solo che in quel caso si trattava di Heath Ledger, e Heath Ledger ha vinto un Oscar. Martina Pinto fa la sgualdrina, la pallida ombra della Nadia di American pie. E Carolina Benvenga la maledetta invidiosa, quella Lana di Pretty princess.

Forse ho perso il contatto con quello che è l’universo liceale di questi tempi, fatto sta che c’è qualcosa che non mi torna. La storia fresca e gli occhi azzurri di un bel giovine nonostante i tempi che cambiano sicuramente avranno ancora la forza di catturare i cuori delle quattordicenni, ma una domanda mi attanaglia: come può il direttore artistico di Mtv in persona, che ha curato la parte musicale, pensare di accattivare i ragazzi parlando loro degli eroi del rock classico e poi pretendere di emozionarli con i Sonohra??

Purtroppo finché in America continueranno a fare film come Mean girls non ce ne sarà per nessuno.

(Cristina Fanti)

CHE NE PENSI DI QUESTO FILM?

The final destination 3D

La saga di Final Destination fa un'ultima fermata sulla strada verso l'inferno dei film per la tv.

Ogni episodio fino ad oggi inizia nello stesso modo: giovanotti dalla pelle perfetta e i capelli lucidi riescono a sfuggire ad uno “spettacolare” incidente mortale grazie alla premonizione di uno di loro.
Questi incidenti si divertono a sfruguliare quelle paure universali che tutti abbiamo: nel primo film un aereo che precipita, nel secondo macchine e camion rotolanti su un'autostrada trafficata, nel terzo una montagna russa impazzita. Per il quarto film ci si rivolge alla comune paura di … erm … assistere ad una gara di macchine, a chi non è capitato?
Non è solo il fatto che la serie sembra aver perso contatto con ciò che veramente può spaventare che fa di questa pellicola un flop. Tutto quello che vediamo è semplicemente stato trattato nella maniera sbagliata.

Nei precedenti capitoli ogni morte avviene dopo una complessa costruzione ricca di suspance come in un meccanismo, e solo quando tutte le pedine sono al posto giusto la triste mietitrice sferra il suo colpo finale. In questa situazione invece una macchina buca e tutto il mondo comincia a distruggersi senza nessun motivo particolare finché non muoiono tutti. E soprattutto in quasi tutti i casi fuoco e detriti volanti fanno la frittata. Alla seconda esplosione già sbadigliavo.

Il cast è il peggiore di tutti fin'ora, un gruppo di attori sconosciuti (nel senso che il termine attore è loro sconosciuto), nessuno dei quali ha una personalità, quindi a nessuno importa se la morte è alle loro calcagna.
Questi baldi giovani riescono a scoprire cosa sta succedendo loro perché è scritto nel copione. Ad un certo punto si bisbiglia la parola “google” come una specie di scialba giustificazione circa la loro conoscenza degli avvenimenti ma non c'è nessun impegno nel provare a capire nulla di più. Dovrei scorrere i titoli di coda per scoprire se gli sceneggiatori sono gli stessi de Gli occhi del cuore. In ogni caso non c'è molto bisogno di altre spiegazioni visto che è tutto stato detto, e ridetto, nei precedenti film, o forse questo è un buon argomento per tirare fuori la domanda circa la necessità di realizzare un quarto capitolo.

Naturalmente la risposta è che ne hanno fatto un altro per poterlo rovinare con vari giochetti in 3D, quella stessa tecnica rivoluzionaria che James Cameron usa in Avatar. Sfortunatamente fiamme, brandelli di carne e sangue che ti volano addosso non riescono ad aggiungere nulla al film, e l'unico momento in cui il pubblico reagisce è quando una delle attrici sculetta fuori dallo schermo passeggiando per casa in mutandine. Un uso fin'ora inesplorato del 3D, ma se questo è ciò che James Cameron ha passato dieci anni della sua vita creativa ad inventare è stato un triste spreco di tempo. E' palese che invece che impegnarsi a studiare nuove modalità con cui dare l'estremo congedo ai vari personaggi qui si usi il 3D come scorciatoia per differenziare il prodotto, ma ovviamente questo non basta. Magari se siete appassionati di splatter trash troverete pane per i vostri denti, ma a mio parere tutto quanto accade fra una morte e l'altra è fin troppo tedioso per mantenermi interessata. Il regista Ellis aveva dichiarato di voler “aggiungere profondità” e non di voler “lanciare roba in faccia agli spettatori ogni due minuti”, ma deve essersi scordato del suo proposito.

(Cristina Fanti)

CHE NE PENSI DI QUESTO FILM?

La valigia sul letto

Eduardo Tartaglia alla conferenza stampa di presentazione del film parla di napoletanità esportabile. Questo concetto pare sia legato al mantenere al minimo le espressioni dialettali e offrire al pasto del milanese-tipo una spruzzata di luoghi comuni qua e là.

E infatti c'è il boss mafioso, con i baffi neri neri e la pelle dorata, c'è il protagonista dalle gote rosse a cui, si vede al primo sguardo, piace tanto mangiare la pizza e i babà, e la giunonica partenopea che, per citare Biagio Izzo in una scena del film, possiede prua e poppa di alto rango.

Achille e Brigida sono una coppia di fatto che si barcamena in una vita di stenti. Impiegato lui, più estroversa lei, garzona di una macelleria per cui fa consegne vestita da polpetta gigante. Quando viene licenziato Achille tenta il tutto per tutto con un lavoro di ripiego, in nero, come guardiano notturno dei cantieri della metropolitana (come dire più in basso di così c'è solo da scavare), all'interno dei quali i due finiranno anche per vivere a seguito di uno sfratto.
Ma ecco che con un'improvvisa sterzata della sorte il nostro protagonista si scopre imparentato con un temutissimo boss mafioso neo pentito, e per questo è costretto a fuggire con i suoi cari (ed il boss in questione) come previsto dal programma di protezione della polizia, lasciandosi dietro cantieri e miseria per una terra promessa che spera dia loro l'opportunità di ricominciare.

Naturalmente non avranno vita facile in quanto il boss di Biagio Izzo, Antimo Lo Ciummo, venticinque anni di latitanza e per questo detto “l'Antimo fuggente” (la sala a cuor leggero ridacchia, immagino lo farà anche il milanese-tipo), ha alle costole un'efferata assassina, Alena Seredova. A farle da controparte un Maurizio Casagrande commissario di polizia che gioca molto su una professionalità dalle tinte grottesche.

Ho apprezzato in alcuni passaggi il tentativo di creare un'atmosfera action-thriller dai sapori internazionali. Inquadratura dall'alto, ralenty e suspance musicale; una morona da schianto estrae due pistole a canna lunga che sembrano prese in prestito da Angelina Jolie e si lancia in una smitragliata d'autore che Rambo sarebbe onorato. Certo è che la morona indossa il costume da polpetta gigante e allora mi ricordo che siamo a Napoli e sorrido.

Questo film ha certamente i suoi momenti, la napoletanità di cui si parlava è molto vera e piacevole. Tartaglia, Mazza e Izzo sono ottimi, Casagrande buono, Seredova rimandata.

(Cristina Fanti)

CHE NE PENSI DI QUESTO FILM?

Chloe

Sesso e bugie. Una storia di desideri proibiti e manipolazione della fiducia che poco a poco è spinta in una spirale discendente verso il cliché (Attrazione fatale al femminile). La strada è lunga e a quanto pare il freno è rotto perché si continua a volteggiare sempre più giù, giù, fino ai titoli di coda.

Julianne Moore è Catherine, un'affascinante ginecologa di successo ossessionata dal sospetto che il marito, Liam Neeson, la tradisca. Per testare la fedeltà del consorte ingaggia una prostituta di nome Chloe (Amanda Seyfried) che sedurrà l'uomo (per altro senza molte difficoltà) e le riporterà i dettagli di ogni incontro. Tutto ciò naturalmente aumenterà la gelosia di Catherine che sfogherà la sua tensione in modi inaspettati, facendo risvegliare in lei sensazioni da tempo sopite e lasciandola smarrita.

Per essere schietti, quando Catherine comincia a perdere il controllo, la stessa cosa accade al film. Come su una livella, all'aumentare della perversione corrisponde una minore credibilità; ed in tutto ciò è fin troppo facile rimanere sempre qualche passo avanti rispetto all'evolversi della trama. Seppure lo spettatore si sforzi di restare dentro agli avvenimenti, strizzando gli occhi come a far crescere la storia per magia, il finale distrugge tutto e il suo viso si distende al pensiero del letto caldo che a casa lo aspetta.

Catherine, con le paranoie sull'eccessiva simpatia del marito verso il gentil sesso e le preoccupazioni sulla bellezza che scompare, è sicuramente il personaggio più ricco di sfumature, all'opposto degli altri, poco raccontati, privi di motivazione. Tristemente questi aspetti intriganti della sua personalità sono relegati a sotto-testo e sono eclissati da più classici (e noiosi) effetti da thriller.
Liam Neeson ed Amanda Seyfried non hanno molto su cui lavorare vista la natura ambigua dei loro personaggi e delle loro azioni, vedendosi consegnati ad un ruolo di sostegno.

Da notare l'impegno delle due attrici per una causa persa: spinte da forte senso del dovere entrambe arrivano a spogliarsi ripetutamente, forse in questa storia hanno visto qualcosa, io no.

(Cristina Fanti)

CHE NE PENSI DI QUESTO FILM?

Promettilo! - Zavet

Già prima che finiscano i titoli di testa Kusturica stordisce lo spettatore. Lo schermo prende vita con cerchi concentrici bianchi su una ruota nera che gira vorticosamente, come quando alle elementari cercavamo di dare fastidio ai nostri vicini di banco.
E su queste note prosegue la pellicola, un'aggressiva commedia iperattiva, in un crescendo di trucchi, elementi fiabeschi, invenzioni strampalate e atmosfere da slapstick anni 30. Ho quasi l'impressione di assistere ad una proiezione simultanea dei Goonies, Tutti insieme appassionatamente e una versione a basso costo di Big fish.

Ci troviamo in Serbia, in un minuscolo paese di collina che conta appena tre abitanti. Tsane, un dolce dodicenne; suo nonno, un anziano rubicondo e scapestrato inventore di binocoli per spiare il vicinato che escono dalla cappa del camino; e Bosa, la provocante professoressa di Tsane, suo unico alunno, e spasimante del nonno.
Quando questi si sente vicino alla fine dei suoi giorni chiede al nipote di fargli una promessa, quella di andare in città, vendere la mucca di sua proprietà, comprare con il ricavato un'icona di San Nicola e trovare una bella moglie.
Il ragazzo così parte, ma non prima di aver dato una sbirciatina al prosperoso seno balzellante di Bosa attraverso il telescopio del nonno. In città lo attendono gangster sgangherati che hanno in programma di costruire una copia del World Trade Centre, due fratelli pelati e coordinati nelle vesti (camice a scacchi, pantaloncini da giovani marmotte e stivali da cowboy), e Jasna, una splendida studentessa del liceo che rapisce il cuore del nostro protagonista con lo sprint di una veloce pedalata.

Ciò che colpisce è la tendenza barocca che percorre la pellicola, in un succedersi di musiche e colori, sempre più forti e sempre più brillanti che danno vita ad una catena di cacofonie senza fine. E poi ci sono un paio di domande. La schizofrenia del pezzo, così diviso fra l'atmosfera cartoonesca fatta di colpi d'occhio e gags e una violenza e sessualità fortemente esplicite, è voluta o accidentale? Qual è il motivo (pensiero che mi dà i brividi) per cui un dodicenne dovrebbe andare a cercare una sposa liceale per poi consumare il loro amore prima del matrimonio dentro il cofano di una macchina che sfreccia sotto i colpi di proiettili e missili?
A meno che non sia io ad essere poco accorta o molto stupida e mi sto perdendo un brillante significato nascosto, mi sembra che Promettilo! voglia essere divertente e rumoroso ad ogni costo, esagerando in situazioni e modalità alla ricerca disperata di azione, qualsiasi azione, anche se fatta di tempi assurdi o ridicola. Risa amare.

(Cristina Fanti)

CHE NE PENSI DI QUESTO FILM?