sabato 6 novembre 2010

Last Night

L’attrice che meno stimo al mondo, 90 minuti, una prospettiva terrificante. Le luci si spengono. Ma non è così male. Almeno il digrignamento dei denti non è vistoso come al solito.

Last Night, un film in cui Keira Knightley non indossa un corsetto e Sam Worthington non ha la pelle blu. Eva Mendez… Beh lei fa quello che le riesce meglio.

Una coppia di giovani sposata da quattro anni, i primi due, è minacciata dall’ingresso in scena di un sederotto prosperoso, quello della cubana. Joanna (Knighley) comincia a sospettare dell’infedeltà di Michael (Worthington) durante una cena di lavoro, quello di lui. Perché lei fa la scrittrice, ed è un tantino persa in questo mondo dove l’arte non si mangia. L’indomani Michael parte per un convegno insieme ad alcuni colleghi, inclusa Laura (Mendez), la pietra dello scandalo.

Da questo momento in poi la regista, sceneggiatrice di The Jacket, per cui ha la mia stima, e amica della Knightley, per cui la perde, segue le vicende che si dispiegano nel corso di una lunga notte a Philadelphia, dove si trova Michael, e a New York, dove è rimasta Joanna.

Quest’ultima durante un blocco creativo nella mattinata dello stesso giorno era scesa a prendere un caffè e aveva incontrato per caso un suo vecchio amante. Lui, prestante e francese (Guillaume Canet), non tanto per caso l’aveva pedinata perché, in città per sole altre 24 ore, sentiva il bisogno di rivederla. Sembrerebbe che il sentimento sia ricambiato, perché i due si danno appuntamento per un disagevole aperitivo che si trasformerà in molto altro.

Il tema in cui questo film si diverte a girare il coltello è quanto mai banale ma sempreverde. Lo slogan stampato sulla locandina recita: a volte quello che desideri è tutto quello che non puoi avere. Dalla conferenza stampa è emerso che una frase più consona sarebbe: è meglio tradire con il corpo o con la mente?
Non sono d’accordo che i personaggi desiderino ciò che non possono avere. Hanno al contrario una concreta possibilità di avere esattamente quello che vogliono, esplorano a fondo questa possibilità, vi ci sguazzano anche, e alla fine decidono con cognizione di causa. Cosa decidono lo lascio scoprire a voi, ammesso che dopo un’ora e trenta di dialoghi ancora vi interessi.

Non sono scritti male, anzi, al contrario, per essere un film così statico tiene sufficientemente aperto l’occhietto dello spettatore assonnato, ma sono tante parole. Tante, tante parole. Molti primi piani. E tante parole. Il maggior traguardo a cui questo meccanismo porta è l’ottenere una sorta di suspance, una corda tesa fra le due coppie che sono sempre sul punto di fare qualcosa, sul punto di scattare a molla, sul punto di sferrare il colpo fatale al cuore dell’altro, non con un pugnale, ma con un’arma che ferisce anche di più. Un thriller romantico, un Hitchock in salsa Bullock.

La riflessione che ne deriva offre spunti interessanti, le atmosfere newyorkesi sono molto godibili, gli attori credibili, ma una storia, un po’ come in un saggio invece che in un’opera narrativa, stringendo stringendo, non c’è.

(Cristina Fanti)

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