lunedì 15 novembre 2010

Dalla vita in poi

Di solito diffido del cinema italiano, e ne sono contenta. Perché quando mi capitano sott’occhio quelle rare gemme, rare è la parola chiave, sono sinceramente sorpresa e rincuorata.

Dalla vita in poi è un film troppo poco socialmente impegnato, troppo poco lento, troppo squisitamente romantico, troppo ben diretto, anche, per essere italiano. Eppure lo è, genuinamente italiano. La storia è vera, il regista ha incontrato la protagonista, amante di Manfredi che braccava i set in cui anni fa lavoravano insieme, e ci è diventato amico.

Lei, Katia (Cristiana Capotondi) è affetta da sclerosi multipla, nel corpo, non nell’animo. Intrattiene un rapporto epistolare con un detenuto, 30 anni per omicidio, Danilo (Filippo Nigro) e si innamora di lui. Semplicemente, candidamente, e con la forza di un’eroina di Jane Austen.

La Capotondi dice di essersi affezionata al progetto perché conteneva qualcosa di epico seppure all’interno di una marcata contemporaneità. Ha ragione. La malattia e la detenzione sono forze sovraumane che ostacolano l’amore di queste due persone che nonostante tutto continuano a crederci, con caparbietà ed ironia. Una passione assai vintage, per così dire, in una realtà molto poco passionale.

Malattia e detenzione, in fondo questa pellicola qualcosa di sociale ce l’ha; si, ma con leggerezza. Il regista sottolinea che non sta raccontando un fatto di cronaca e non vuole fare denuncia, bensì dipingere dei personaggi. Ci riesce benissimo. Complice una sceneggiatura praticamente perfetta, equilibrata tra amarezza e dolci baci, carica di ritmo come un cuore che ama, mai sdolcinata come chi lavora in prigione. Danzando fra presente e passato (prossimo) disegna piccole scene che funzionano da sole. La musica e un buon montaggio le condiscono di una piccante adrenalina. E soprattutto incanta quell’ironia che fa risplendere la protagonista come un sole di Dicembre, lucente ma fresco. Sagaci i riferimenti alla realtà quotidiana, come la proclamata volontà di chiamare Striscia la Notizia, o l’intera rosa dell’AS Roma, anche questa un po’ vintage, che si allena a Trigoria.

La regia sceglie di non far vedere molto la sedia a rotelle su cui Katia è costretta, gioca su primi piani interessanti e non ha paura di scoprire, seppur senza sottolineare, la profondità dei suoi personaggi.

Gli attori sono per lo più spontanei, la romanità li aiuta, e tutto sommato si lasciano apprezzare. E’ una buona idea tenere Filippo Nigro in mutande per metà film. Solo Pino Insegno nella parte del sovraintendente di polizia mi ha lasciato perplessa. Al di là che un agente che parla romano in dizione non l’ho mai sentito, forse ci ha troppo abituati a vederlo nei panni di se stesso, e in divisa mi sembra quasi che ci stia prendendo in giro.

Decisamente un film da provare per chi spera ancora che il cinema italiano risorga dalle sue ceneri.
Delicato, come una scritta su uno specchio appannato.

(Cristina Fanti)
da filmfilm.it

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