venerdì 3 dicembre 2010

We Want Sex - Made in Dagenham

Atmosfere da Billy Elliot per questa commedia che cosparge di zucchero a velo e confettini colorati un evento storico di portata internazionale, condensando una storia di rivendicazioni sociali in una girandola di situazioni e personaggi che però mancano del mordente necessario per essere considerati speciali.
L’industria cinematografica inglese conferma ancora una volta di amare i film in costume nostalgici e accattivanti, e incarta insieme commedia e dramma con un bel fiocchetto dalle nuance anni 60.

Questa è Dagenham, anno domini 1968. Nella fabbrica della Ford un gruppo di 187 donne cuce rivestimenti per sedili di automobili in uno scantinato al cui interno l’acqua piovana gocciola dal soffitto e per il caldo si lavora in reggiseno, ciarlando come dal parrucchiere e mettendo in imbarazzo qualsiasi collega di sesso maschile irrompa in tale regno. Quando per loro si prefigura un abbassamento del salario, sostenute da un affettuoso sindacalista (Bob Hoskins), questo drappello di cotonate elegge la timida e pacata mamma di famiglia Rita (Sally Hawkins) come propria rappresentante al tavolo delle contrattazioni. Inaspettatamente la piccola donna stravolge le carte in tavola e con un impeto di risolutezza chiede che il salario femminile venga portato al livello di quello degli uomini, dichiarando sé e colleghe ufficialmente in sciopero. La sua determinazione contro lo scetticismo dei loro datori di lavoro, colleghi e persino mariti le aiuterà a lasciare un marchio nella storia d’Inghilterra e aprirà la strada alla legge sull’uguaglianza del trattamento economico due anni dopo.

Il film è un insieme d’illuminazione pittoresca e graziose performance che accecano e nascondono qualsiasi forma di reali ambiguità, conflitto e complicazioni. La scelta non è scavare nel contesto, e questo è chiaro fin dalle prime inquadrature, ma non si può pretendere di mostrare credibilmente la storia se con essa si gioca distratti e veloci. Spariscono per non offendere nessuno ogni amarezza e senso di oppressione generalmente associati alle lotte industriali, e così ci si trincera dietro l’assoluta condivisibilità della tematica centrale; chi se la sentirebbe di essere in disaccordo con il desiderio di uguaglianza? Il consenso facilmente si forma sull’idea che combattere il maschilismo sia un’istanza apolitica.

Mantenendo il tono volutamente poco complicato e solare, e facendo in modo che tutti gli antagonisti abbiano modo di redimersi, ogni sentimento rivoluzionario e potenziale drammatico sono succhiati via, ottenendo così la rappresentazione più leggera che si possa immaginare sul tema del rischiare tutto per una giusta causa.

Sally Hawkins è spinta oltre il limite della naturalezza quando a ogni frase trema d’indignazione con gli occhi gonfi di disprezzo. Del suo talento è fatto molto buon uso invece nelle scene in cui interagisce con il marito.
Questa tendenza all’esasperazione si ripete anche nella sceneggiatura stessa, che sottolinea molto marcatamente temi e chiavi di svolta.
Ogni personaggio ha i suoi quindici minuti di gloria e così tutti sono contenti di questo prodotto: gli attori, perché hanno modo di lavorare e mettersi in mostra; il regista, perché un attore soddisfatto vuol dire il 70% di problemi in meno; e il pubblico, perché è appagato da uno sfarfallio di colori primari. Eccetto che il pubblico non è contento affatto.
Il film è sicuramente piacevole agli occhi ma resta superficiale. Puntando tutto sul divertimento piuttosto che sui saldi ideali seppur presenti nella storia, e così attuali, è reo di populismo e alla ricerca di un facile successo, ma tutto ciò che riuscirà a ispirarvi è solo una flebile risata.

Alcuni punti semi-femministi sono lanciati qua e la ma tuttosommato questa vuole essere ed è un’avventura calda e idealista che sconfigge la dura regola delle difficili battaglie, spesso perse, dei lavoratori.
Alla Festa del Cinema in sala con noi erano presenti alcune delle vere protagoniste della rimostranza. Chissà cosa avranno pensato rispetto a questo gesto che ha definito la loro vita, una generazione, e un po’ il mondo intero, e che ora passa davanti ai loro occhi come una sfilata di capi d’abbigliamento vintage durante la quale poco è mancato che tutto il cast cominciasse a sculettare sulle note di “Hot Chocolate” a la Full Monty.

(Cristina Fanti)

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