Cronistoria del film di Natale.
Anni 80: Una poltrona per due.
Anni 90: Schwarzenegger fa il papà di famiglia, bambini cercano tesori e mettono trappole sentendosi grandi per un giorno, qualche batuffolo di neve e redenzione per tutti nel finale.
Anni 2000: donne nude, seni, sederi e volgarità.
Anni 2010: Silvio Muccino.
Tale pare la piega presa dal filone con questo lancio coraggioso della Universal durante la festività più amata dagli italiani. Coraggioso perché nel film non ci sono né Boldi né De Sica.
Bensì tanti sentimenti, anche se un po’ scorretti perché tutti facilmente affidati agli occhioni di Michael Rainey Jr., il bimbo protagonista, nero e orfano, praticamente un magnete di simpatie per il pubblico. Gli adulti invece, quasi tutti freddi e imbalsamati per la maggior parte del film, senza grande sforzo per gli attori chiamati a interpretarli, restituiscono una realtà un po’ troppo stilizzata. Secondo i produttori si tratta di una storia di redenzione che si fa paladina dei veri ideali da diffondere a Natale. La concorrenza di questi tempi è effettivamente abbordabile, ma in qualche modo il film, nonostante i vantaggi di cui sopra, esce sconfitto.
In conferenza stampa si parla di esistenzialismo, perché, nell’anno e mezzo in cui Silvio Muccino e Carla Vangelista (autrice del libro da cui il film è tratto) si sono impegnati a scrivere la sceneggiatura, hanno avuto abbastanza tempo per rimpinzarla di tutti i temi più vaghi e generici che attanagliano la natura umana: il razzismo, la solitudine, il rapporto con il proprio corpo, quello con gli altri, la povertà e dulcis in fundo la morte, che unisce sempre famiglie e spiriti e coagula la formula perfetta per le feste.
Chiuso il cerchio di questo “vero” film di Natale, si sente forte profumo di fiera delle banalità.
Muccino ci informa che ama i racconti di formazione ed è stato per questo attratto dal libro della Vangelista, che costringe i propri personaggi a guardarsi dentro, fare i conti con il proprio passato e diventare uomini. Peccato che ciò che vediamo nel loro profondo sia no-io-so.
La recitazione non aiuta; anche se come al solito tutti gli attori dichiarano quanto interpretare questo ruolo sia stato bellissimo, fuori dal comune, e che abbia dato loro la possibilità di mettersi alla prova, di abbattere barriere, di superare se stessi e migliorarsi nella loro arte, la piattezza ci affonda. L’unico ad emozionare qua e là è il bambino.
Le risate e i commenti in sala a scena aperta lo confermano: ad una interessante premessa del soggetto corrisponde una sceneggiatura inesistente e dei dialoghi da raccapriccio, vero motore di ilarità. Non si spiega come la scrittrice-sceneggiatrice abbia avuto la fantasia di martoriare volontariamente la sua opera narrativa. A condire, alcune scelte discutibili, come la lunghissima sezione di apertura in cui Silvio fa da narratore descrivendo ciò che i vari personaggi fanno in video. Didascalico, tautologico e ridondante. Neppure foneticamente interessante considerate le ripetute visite del nostro dal logopedista.
Ammirevole il coraggio che Muccino ha nel proporsi come autore cinematografico in un paese in cui l’arte va morendo. Uno dei pochi che ancora scrive, dirige e recita. I risultati fanno però presupporre che il ragazzo sia quantomeno acerbo, e che forse prima di lanciarsi a capofitto in opere bibliche sarebbe meglio si dedicasse ad uno solo dei settori di suo interesse, per approfondirne i meccanismi. Un Tarantino c’è già stato, e non è nato in Italia.
(Cristina Fanti)
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