I giganti calvi con tatuaggio tribale al posto dei capelli, branchie intorno al naso e denti dall’aspetto cariato ci sono. La stellina del tv-show del momento anche. Musiche di grido direttamente da MTV ad accompagnare pirotecniche esplosioni. Petti gonfiati, addomi scolpiti ed effetti speciali. Un cocktail gustoso, colorato, e con la fragolina a bordo bicchiere, ma shakerato con la vodka del discount, come quello dispensato a ripetizione, ormai per pochi spiccioli, dai nostri teleschermi. Con la differenza che questa volta siamo al cinema, di fronte ad un lungo, glorificato, episodio di telefilm.
Buffy l’ammazzavampiri incontra Heroes. Fratello del primo causa personaggi malvagi poco credibili, caricati al massimo nelle loro caratteristiche mutanti, che poi si risolvono nella semplice, piccola alterazione di alcune forme umane. Ancora si sente l’odore del silicone ed è calda sulla pelle degli attori l’impronta digitale del makeup artist. Cugino del secondo per l’impegnativa avventura di formazione di colui che riceve dei poteri senza sapere come usarli e deve aggiustare la sua vita a questo dono. Atmosfere buie e acrobazie fenomenali, con l’auspicato potenziale d’innalzo del sex appeal del protagonista per impennare i risultati al botteghino.
Una sorta di genero di Twilight, perché frutto di una fatica letteraria, neanche a farlo a posta una saga, e per quel suo protagonista un po’ outsider che alla prima occhiata fa scendere l’entusiasmo ma alla seconda la gonnella, rivelandosi di un altro mondo, uno speciale. Molto poco speciale invece la sua performance, che tutto sommato non è spiccata come i suoi muscoli, e lascia un buco nell’ordito.
Lo sfortunato erede di un mondo distrutto è costretto a nascondersi sulla Terra e a cambiare scuole come un normale ragazzo cambia t-shirt. Il suo nome è inventato, la sua identità è in realtà legata a un numero, il Quattro, anche se non si capisce bene perché. Nove sono i superstiti del pianeta Lorien e i terribili calvi di cui sopra li stanno eliminando, senza motivo, in ordine crescente. Fin ora hanno avuto la meglio sui primi tre di loro e per questo John, insieme al suo protettore Henri, decide di mischiare un po’ le carte trasferendosi ancora una volta. Nel suo nuovo liceo, popolato da figurine scollatesi dall’album della banalità, il quoterback, la biondina e il nerd, è necessario mantenere un basso profilo, cosa molto difficile se ti si accendono i palmi delle mani come schermi dell’iPhone e se puoi lanciare in aria persone e macchine della polizia come fossero carte da gioco. Diciamo che Numero Quattro incontra grossi problemi a non finire su YouTube.
Insomma, ci stanno raccontando una storia adolescenziale corretta, come fu per The Faculty nel 1998 e come è per tanti telefilm ai giorni nostri, da quando il binomio scuola e vampiri ha creato più assuefazione di quello caffè e sigaretta. Una base su cui si può lavorare, ma che Caruso e il suo produttore Michael Bay non sanno ottimizzare, lasciandosi prendere la mano dalla computer grafica senza darle il sostegno necessario da parte della storia e dei personaggi affinché questa ci lasci senza fiato. Tradiscono a suon di raggi laser lo spirito inizialmente evocato nei primi minuti di film, quello di un incontro ravvicinato molto radicato nella realtà. Vorrebbe essere il nuovo Tranformers (il primo naturalmente), ma in nulla riesce a sollevarsi sopra la media.
Sono il numero quattro non sarà il numero uno. Alcuni sinceri sentimenti che rappresenta, come confusione, rabbia giovanile e ricerca dell’identità, avrebbero potuto dare risultati inaspettati se sapientemente mischiati ai suoi elementi fantascientifici. Invece queste due locomotive, l’adolescenza e l’epica aliena, si muovono su binari paralleli. A volte sembra come se le pizze di due film diversi siano state mischiate in sala di proiezione.
(Cristina Fanti)
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