lunedì 2 maggio 2011

Come l'acqua per gli elefanti - Water for elephants

Capita a volte di discutere con chi non mangia pane e cinema su cosa faccia di un film un bel film. C’è chi crede che la chiave di volta sia la storia e non si accorge com’è appunto scopo del filmmaker dell’importanza della tecnica, che senza farsi notare costruisce e arricchisce l’opera al di fuori e al di sopra di ciò che essa racconta. Spesso in tali situazioni è difficile sostenere questa teoria senza esempi chiari e tangibili e a ciò Come l’acqua per gli elefanti ci viene incontro.

Una reinterpretazione del Titanic di James Cameron ambientata in un circo itinerante invece che su un transatlantico, e sviluppato a parti inverse. E’ infatti l’anziano Jacob ad essere presentato in apertura e a raccontare ad un giovane fintamente interessato le sue avventure amorose del 1931. Attraverso un lungo flashback scopriamo che Jacob è stato costretto dalla morte dei suoi genitori benestanti a vagare ramingo sui binari del treno e, saltando su un vagone a caso, è finito con il diventare il veterinario del famigerato circo dei fratelli Benzini. Si è innamorato poi della moglie del crudele direttore, che naturalmente, scoperto l’inganno, ha preteso la sua testa su un piatto d’argento. Salvo che, indovinate, l’amore ha trionfato, e dopo aver salvato la sua amata su una metaforica porta galleggiate, Jacob ha condotto una vita piena di gioie e di bellissimi ricordi.

Ma veniamo alle differenze. Per quanto entrambe le pellicole appartengano a un genere dichiaratamente sdolcinato e non gradito dai palati di tutti, non si può negare che la stesura e la realizzazione del colossal del 1997 sia stata curata nei minimi dettagli e giunga dunque, senza che questi ne individuino necessariamente i meccanismi, al cuore degli spettatori.

Tredici anni dopo non si usa la stessa attenzione, e benché la storia del romanzo da cui il film è tratto abbia avuto successo fra milioni di lettori, la sua trasposizione cinematografica è piatta come l’encefalogramma di un elefante. I personaggi hanno lo spessore di un post-it, e così di conseguenza la loro storia d’amore, che sboccia senza preavviso come una verruca. Un uomo e una donna che si conoscono appena e che all’improvviso si dicono “ti amo”, questo il sunto. Chiaramente si è puntato tutto sulle ricche atmosfere circensi, dimenticandosi che per un piatto ben riuscito bisogna dosare in maniera intelligente tutti gli ingredienti. Se ciò non avviene, anche se chi degusta non sa definire il perché, non gradisce il sapore di ciò che gli si serve.

L’unico lampo di recitazione brilla negli occhi di Christoph Waltz, che forse dovrebbe meditare di licenziare il suo agente. L’attore prova a lanciare piccoli ami di onore e compassione nel complesso del suo personaggio, ma il film è scritto con tale banalità nell’approccio alla dicotomia bene-male che tutti i suoi sforzi sono vanificati in un grosso cliché. August, il viscido direttore che maltratta animali e uomini, è ingoiato in un tunnel che lo costringe ad essere nulla più di questo. Il suo tentativo di scrollarsi di dosso il puzzo del colonnello nazista fallisce dunque, e anzi lo incasella ancora di più nello stereotipo del cattivo.

Reese Witherspoon ha una bella parrucca.

Di Robert Pattinson è meglio non parlare, non si spara sulla croce rossa.

(Cristina Fanti)
da cinema4stelle.it

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