Un film cullato per tre anni, nato da un cortometraggio, voluto con fatica da persone che si sono innamorate della storia di redenzione di questi due fratelli e ci hanno creduto. Giunto nelle mani di Mark Wahlberg, lui, appassionato della vicenda già da tempo, e combattivo più che mai, lo ha portato alla luce, la luce del Massachusetts, che ha impressionato la pellicola con i toni spenti della periferia. Scenografie, costumi e apparenze poco lusinghiere degli attori costruiscono un mondo reale e crudo, un crudo neppure troppo ripulito con il noto smacchiatore “Hollywood”. Questa troupe ha giocato a fare l’indipendente, mostrando di affidarsi alla recitazione invece che ai numeri della produzione. Una decisione che giunge dal cuore ma che forse al cuore non arriva fino in fondo.
Si tratta di un Rocky impolverato, rotolato nel terriccio e sgrullato grossolanamente. Lo scheletro del film è lo stesso di molti altri del genere, una storia di drammatiche conquiste atletiche, ma la forma e il tono della carne poggiata sopra queste ossa distingue The Fighter da molti dei suoi cugini cinematografici. La storia di Mickey, che cerca nelle difficoltà di arrivare al successo, con un allenatore drogato, suo fratello, vecchia gloria della boxe, e una manager alcolista, sua madre, che si crogiola nel bagliore della fama ormai scaduta del primogenito, costituisce l’arco narrativo. Ma sono i personaggi ciò su cui batte il fuoco la macchina da presa. Fallati e pacchiani come oggetti acquistati al discount, ma, come questi, anche positivamente basici, veri, all’osso. Russell non si allontana quasi mai dalle facce e dai corpi dei suoi protagonisti, lasciando che le loro espressioni e i loro gesti, sia fuori che dentro il ring, veicolino il nucleo pulsante che si cela dietro lo spettacolo offerto dallo sport, che è poi il punto stesso del film. E’ aiutato dalle scintille che emanano i dialoghi, fruste lanciate avanti e indietro come affilati pugnali.
I blocchi di scene corali della famiglia Ward-Eklund sono la cifra di un film costruito con cura. Nulla giace troppo a lungo e lo stile di lotta testa-corpo/testa-corpo che ha reso famoso Ward ha un eco nello stile di regia di Russell, che alterna nel suo spartito boxe-famiglia/boxe-famiglia. Il film si apre con un’ottima prima scena, apice artistico della pellicola, nella quale seguiamo Dicky e Mickey che camminano per strada, facendosi belli in giro per il quartiere, tampinati da una troupe televisiva che filma quello che Dicky pensa sarà un documentario sul suo ritorno al ring. La macchina da presa è portata con leggerezza, s’incunea e si ritrae dalla messa in scena, danza come un pugile, ma presto poi purtroppo si dimentica di come si combatte.
Mickey Ward è uno strumento monocorde. Nella vita, trascurato in favore delle sue sorelle impossibili e del suo vistoso fratello, ha sempre parlato poco e picchiato molto. In questo senso Wahlberg lo suona alla perfezione, sembra quasi non recitare affatto e si potrebbe perfino incolparlo di aver lasciato che il cast di supporto riuscisse nell’adombrare così tanto il proprio leader (non a caso è l’unico rimasto a secco di nomination).
Dicky d’altro canto ha una mente fenomenale e conosce la boxe meglio di ogni altra cosa. Ad eccezione di dove trovare del crack. Bale ci convola a nozze, ci mostra un angolino di recitazione con la “R” maiuscola e ci apre un mondo, come è solito fare. A questa divinità del trasformismo va incontro la più nuova moda cinematografica, che prevede per i film basati su persone reali il dovere legale di mostrare almeno un fotogramma, sentimentale e celebrativo, di queste stesse durante i titoli di coda. E così li vediamo, tanto riconoscibili quanto ovviamente non così attraenti come i divi che prestano loro il corpo, a sottolineare l’autenticità del film con la loro palpabile verità, e il lavoro che questo sconvolgente attore ha palesemente compiuto su se stesso si tinge di nuove profondità.
Nonostante tutte le nomination agli Oscar, e le relative vittorie, The Fighter andando a stringere non è altro purtroppo che la somma delle sue parti e una semplice, discreta vetrina per far brillare ancora una volta la più eclettica, meravigliosa stella del firmamento hollywoodiano, un certo Christian Bale.
(Cristina Fanti)
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